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Per le antiche scale

by Mario Tobino



Da trent'anni Anselmo è abituato allo spettacolo della follia, eppure ha un disagio davanti a quella ragazza. All'improvviso si domanda se quell'idiota ha l'anima e si risponde di sì. "Forse più pura della mia."


Coltivava i rancori quasi paurosamente, da anni rodeva un sordo astio contro il cappuccino semplicemente perché - secondo lui - un giorno gli aveva risposto con parole troppo confidenziali.


Si chiamava Anzillotti e lì, nel manicomio, viveva con in un'isola, nel suo appartamento, in compagnia delle sue meditazioni.


Sua vicina era la Bastianelli, furente delirio malinconico, sua colpa ogni lutto nel mondo, inestricabile groviglio di serpi i meandri della sua follia, in "depressione agitata", uguale alle fronde di un albero sconquassate dal libeccio.


Erano i ricordi che più di tutto mi infastidivano, filo spinato della mia liberazione.


Solo chi c'è passato sa come fu il dopoguerra in Italia


Era una domenica d'estate e intorno la campagna lucchese era di straordinaria armonia, insieme lussureggiante e pudica, tra i rami la tenerezza del cielo, tutto immobile e vivo come quel paesaggio fosse già eternato, divenuto immortale per la gloria dell'arte.


Il tedesco Kraepelin era stato il più vigoroso a strutturare, a metter su un'architettura, a eseguire il grande affresco della follia, un lavoro colossale: dalla fuliggine, da un brancolare di orbi, da un urlio selvaggio, aveva tolto una precisione di dati, il ripetersi di una sintomatologia, spiegato il perché di certi linguaggi. Kraepelin aveva disposto la trama di una scienza che gradatamente si sarebbe irrobustita ed elevata.


Ed ecco il pianoforte. Nessuno, né le malate né le infermiere né il medico sono a conoscenza che la Lucia sa suonare il pianoforte.


c'era lei, davanti alla quale la psichiatria era disarmata, sconfitta. Per lei nasceva un umano interrogativo.


Ero a quel tempo giovane. Chi non è stato ai suoi begli anni spavaldo?


"Per quale ragione eravate così tremebondi davanti al Bonaccorsi?"
"Noi si era dei campi. Il Bonaccorsi ci aveva chiamato dal calesse. Avevamo fatto una o due classi elementari. Loro là, della direzione, potevano tutto su di noi, su i malati."


C'erano a quel tempo dittature e guerre, ma esisteva anche la gioia, la propria persona, la prepotenza di essere in questo mondo nonostante e al di fuori delle storture politiche, delle maledette circostanze.


Gli infermieri del suo tempo se n'erano andati, in pensione; scomparsi. Era morto Achille del Laboratorio, il portiere D'Inzeo. Tutto si traduce in polvere.
Viva soltanto la pazza, la sorella del Bonaccorsi, ancora nella sua cameretta, nella cella, a ridere.


Ero vestito da soldato e la guerra scomparve. Il federale indicava la pace eterna, l'immobile secolare contemplazione, la nullità di ogni atto.


Io ci sono e intorno a me il nulla. Anch'io non esisto, sono come morto, ma c'è questa stranezza, questa assurdità, questa condanna: di assistere a questo.


"Dio mio, Gesù, Gesù! Non sono stata io. Me l'hanno fatto fare" e implorò quella figura che era sopra di lei, sull'altare, che aveva in mano il proprio cuore e l'offriva.


"Storico delle vicende. Vicissitudini di parallelismo. Il corso!"
Così rispondendo il Meschi si era di un poco avvicinato allo psichiatra. Sembrava più diafano, spirituale, gli occhi folgoranti.


coraggioso tra le pareti, con in mano la penna; timido, quasi tremante, di fronte alla realtà.


Il timbro, il timbro, eccolo! Quello, una voce dentro la voce.


Solera lo segue a testa china, e vorrebbe spiegare, dire come è successo, come ci si è trovato. Ma, chi gli suggerisce le parole? chi conosce i diversi passaggi? le situazioni? il suo passato? la logica dei suoi atti? che c'è stato tutto un perché preciso?


La delicata Alfonsa è stata costretta ad assistere a ogni scellerata scena, inventata dalla sua stessa mente, e, come non essere disperata per quel che vedeva, quello che udiva? come non gridare il continuo spavento?


In certi momenti mi illudo di sfiorare la verità. Basterebbe ancora un poco. Poi di nuovo buio, e ancora buio.


Lei è una benedetta bambina con disposizione a un moralismo feroce.


gli insegnava a parlare, lo trattava come un normale, gli faceva ripetere, con ruvida sbrigatività lo costringeva ad apprendere.


Nei trattati di psichiatria di quel tempo con sicumera si proclamava che le malattie mentali si dividevano in due grossi blocchi: "Quelle dell'affetto. Quelle dell'intelletto."
Nell'accensione del giovanile furore mi era sorta la sicurezza che non era vero. Le malattie psichiatriche sono quelle dell'intelletto.
I sentimenti erano e rimanevano puri, indenni, non viziabili.


il rombo del motore si trasformava in stupore, in musica, in miraggio;


Disperazioni e insonnia, angosce, delirio di indegnità, precedettero il ricovero. La sua casa era il manicomio.


Correva la penna sulla cartella clinica; non c'erano cure


Gli anni trascorrono. I manicomi, da secoli bui e immobili, castelli impenetrabili, aprono spiragli, inferriate si sminuzzano come denti marci, pareti crollano giù. Sono arrivati nuovi medicamenti e insieme la fiducia, la speranza, un corteo di nuovi metodi, soffi, venti di libertà.


Sopra di me aleggiava la dittatura. Per consolazione avevo la psichiatria.


la ragazza esplose in una risata irreale, simile a cristalli in frantumi.


Non ne posso più. Voglio essere libera, voglio l'amore. Non sono matta perché voglio l'amore, voi ce l'avete. Non mi stringete, vigliacche. Vi picchierò tutte, vili e infami. Voglio solo l'amore.


uno sterminato mondo di oggetti che appaiono ma non esistono.


Il sassofonista continuava a gettare nell'aria assurdità.


E inoltre c'è da aggiungere che oggi è di moda, un andato, specie presso i medici giovani, psichiatri innovatori, di sdrammatizzare la pazzia, dichiararla non pericolosa, affermare che non esiste; e non la vogliono riconoscere neppure quando tragicamente si presenta. E se delle volte la pazzia li colpisce proprio sul muso, che è impossibile dire di no, allora ripiegano sulla società, incolpano questa, che è malformata, la società la profonda causa delle malattie mentali.


L'ospedale ha anditi, ombre medievali, spesse mura.


Non ha nessuna colpa. Mi ha dato una felicità.


La ragazza rifletté un momento e con un sorriso rispose: "Sì".
"Com'è sincera" si disse il medico. "È stata colpa della purezza."


gli era nata la domanda se non c'era anche in lui la maledizione. Quel saper correre ma non toccare la meta, quel percepire rapidamente ma non agguantare, quella folla di notizie che no si condensavano in una unica luce, non era dovuto allo spettro che ingombrava e dominava tutti i suoi familiari, sorelle e fratelli, e quindi anche lui?


I genitori consumarono i loro risparmi per nasconderla nelle case di cura; e poi si rassegnarono al manicomio.


Anselmo si sente placato. Le caselle della follia si sono riordinate.


"Ahimè" sospirò lo psichiatra. "Di nuovo la divisione del pensiero.
Quante volte l'ho udita! E intanto l'espressione del viso è di uno che possiede la ragione, che parla chiaro, sì da dubitare che siamo noi a non avere la chiave."


Il Rospigliosi non aveva alcuna mente, non distingueva. L'inesauribile Bonaccorsi, con le sue lampeggianti percezioni, provvedeva.


Il dottor Anselmo abitava in manicomio.


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