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La cerimonia degli addii

di Simone de Beauvoir



Non si può raccontare, non si può scrivere, non si può pensare; si vive, e basta.


L'uomo cesserà a poco a poco di essere il prodotto del suo prodotto, per diventare finalmente il figlio dell'uomo.


Non basta conoscere la verità, bisogna anche diffonderla.


« L'unità di misura di ciò che io faccio è la filosofia. » (Sartre)


« Non avete fiducia nella giustizia ufficiale? »
Sartre: « No, nessuna. »


« Ovunque le masse passano alla prassi, esse sono già popolo...» (Michèle Manceaux)


Sartre si occupava di molte cose diverse, ma ai suoi occhi tutte collegate fra loro.


« La malattia è la sola forma di vita possibile nel capitalismo. » (Sartre)


Mi rispose sorridendo: « Bisogna essere modesti quando si è vecchi. » Mi commosero la sua semplicità, quella modestia così nuova in lui; e nello stesso tempo fui rattristata dalla sua mancanza di aggressività, della sua rassegnazione.


Ribellarsi è giusto.


Avevi quel tipo di conversazione al di là dell'argomento principale, che mi piace molto...


L'età ti trasforma in una porcellana.


« Credo nell'illegalità. » (Sartre)


« Bisognerà pur finire per finire. Dopo tutto, si è fatto quel che si è potuto. Si è fatto quel quel c'era da fare. »


Con sulle labbra un sorriso fisso di cortesia universale.


Nell'insieme, però, sopportava la malattia con pazienza.


L'indomani mattina era seduto da più di un'ora sulla sua terrazza, di fronte allo stupendo paesaggio provenzale. Non si era annoiato? No. Gli piaceva guardare il mondo, senza far nulla.


Proprio perché stava meglio, la malattia cominciava a pesargli.


[Una situazione] Evidentemente, è sopportabile solo se la si considera provvisoria.


Per lui, « il dialogo non è stato altro dall'inizio alla fine che questo progressivo precisarsi dell'idea di libertà. »


« Non ho mai pensato che gli esseri si distinguano soltanto per le loro conclusioni. C'è anche la loro ricerca, e voi lo sapete bene. » (Sartre)


« Credo comunque che sia stato un fallimento; ciò non toglie che, se ci fosse da rifarlo, lo rifarei. » (Sartre)


« Ciascuna delle mie scelte ha ampliato il mio mondo. Le lotte con le quali mi identifico sono lotte mondiali. » (Sartre)


Dall'insieme emergeva che era abbastanza soddisfatto del passato da poter accettare serenamente il presente.


Aveva sfruttato fino all'ultima risorsa il suo “capitale-salute”. Lo sapeva, perché aveva detto in sostanza: « Preferisco morire un po' prima e aver scritto la Critica della ragione dialettica. »


Il dramma dei suoi ultimi anni è la conseguenza della sua intera vita.


[Lei] E' troppo interessata; non è interessante.


Se la vecchiaia consiste, come dicono alcuni, nella perdita della curiosità, allora non era affatto vecchio.


In lui apprezzava la radicalità delle ambizioni, il fatto che, come Sartre stesso, voleva tutto. « Naturalmente a tutto non si arriva, ma bisogna volere tutto. »


Il tempo, lungi dal guarire le ferite, può al contrario esasperarle.


Io sono incapace di giudicare un testo che non ho letto con i miei occhi. Sartre era come me.


« Il problema è che questo elemento di critica riflessiva, che è costantemente presente quando si legge personalmente un libro, non è mai troppo chiaro in una lettura ad alta voce. » (Sartre)


Il giorno dopo, con gli occhi chiusi, mi strinse il polso e mi disse: « Vi amo molto, mio piccolo Castoro. »


A un certo punto chiesi di essere lasciata sola con Sartre, e volli sdraiarmi accanto a lui sotto il lenzuolo. Un'infermiera mi bloccò: « No. Attenzione... la cancrena. » Fu allora che compresi la vera natura delle sue piaghe. Mi sdraiai sul lenzuolo e dormii un poco. Alle cinque vennero degli infermieri. Avvolsero il corpo di Sartre in un lenzuolo e in una specie di sacco, e lo portarono via.


Ero irrigidita dalla volontà di non crollare.


Il mio silenzio non ci ha separati.


Ci separa la sua morte. La mia morte non ci riunirà. Così è; ed è già bello che le nostre vite abbiano potuto tanto a lungo procedere all'unisono.


Dalle Conversazioni con Jean-Paul Sartre, agosto-settembre 1974:
Simone: « Ma avete l'impressione che ci siano delle cose da dire su questo argomento, la cosa vi interessa? »
Sartre: « Sì. Non è proprio che mi interessi; oggi niente mi interessa. Però per molti anni mi ha interessato abbastanza perché io ne voglia parlare. »


Passare dal romanzo di cappa e spada al realismo voleva dire parlare delle persone così come le vedevo. Ma bisognava che in questo vi fosse ugualmente qualcosa di palpitante. Non potevo concepire certi libri di quel periodo, in cui non succedeva niente. Bisognava che ci fosse un evento che avesse l'importanza di un evento eroico, e in quel racconto fu quella morte a colpirmi.


Sì; uno scrittore doveva essere un filosofo. Dal momento in cui ho saputo che cos'era la filosofia, mi è sembrato normale esigerla dallo scrittore.


Era una forma di fiducia nel linguaggio.


« Ma quel che è strano è come è nato il pensiero sul contingente. Ho pensato al contingente partendo da un film. Vedevo dei film in cui il contingente era assente, e quando uscivo lo ritrovavo. Quindi, è stata la necessità presente nei film a farmi sentire, all'uscita, che non vi era necessità per la strada. Le persona si spostavano, erano gente qualunque... » (Sartre)


Simone: « Perché l'idea del contingente vi ha coinvolto al punto che veramente avete voluto farne... ricordo che quando ci siamo conosciuti mi diceste che volevate farne qualcosa che sarebbe stata come il fato per i greci. Volevate che fosse una delle dimensioni fondamentali del mondo. »
Sartre: « Sì, perché mi pareva che fosse un fenomeno trascurato. Del resto, lo penso ancora. Se si esamina a fondo il pensiero marxista, ad esempio, si trova un mondo necessario, non il contingente; c'è soltanto determinismo, dialettica: non ci sono fatti contingenti. »


Simone: « L'idea del contingente vi toccava dal punto di vista emozionale? »
Sartre: « Sì. Penso che l'ho scoperta attraverso i film e l'uscita per le strade è perché ero fatto per scoprirla. »


« Addolcito dal sacrificio di una violetta Il grande specchio d'acciaio lascia agli occhi un retrogusto color malva. » Volevate dire che il cielo era color malva, e loro vi avevano preso molto in giro.


Simone: « L'embrione di una grande teoria, che avete formulato in seguito, sulla felicità, sulla scrittura, sul rifiuto di un certo tipo di felicità e sull'affermazione del vostro valore come scrittore, benché per il momento fosse ancora tutto da dimostrare. Come sentivate, esattamente questo valore? »
Sartre: « Era assoluto. Ci credevo come un cristiano crede alla Vergine, ma non avevo alcuna prova. Eppure, avevo l'impressione che quello che scrivevo – paginette di merda, i romanzi di cappa e spada, i primi racconti realistici – fossero la prova che avevo del genio. Non potevo provarlo con il loro contenuto, mi rendevo di non esserci ancora arrivato; ma il solo fatto di scrivere dimostrava che avevo del genio. »


Non si può voler scrivere se non per scrivere cose perfette.


Simone: « Ma pensavate di essere molto intelligente? »
Sartre: « Perché me lo avevano detto. »


« [Ero] Oggetto [di violenza] come lo si è nei licei, quando ci si fa picchiare. Non vi picchiano come nemico, vi picchiano come compagno, per impedirvi di cadere in errore, per riconciliarvi con qualcuno, per farvi uno scherzo, non importa: è in amicizia che vi picchiano. » (Sartre)


Simone: « E tutto questo ha influenzato il vostro sviluppo successivo? »
Sartre: « Penso di sì. Innanzitutto penso di non aver mai dimenticato la violenza che ho imparato allora. E' così che ho visto i rapporti delle persone tra loro. In seguito, non ho mai avuto rapporti teneri con gli amici. C'erano sempre idee di violenza, o da parte loro verso di me, o da parte mia verso di loro; non era una mancanza di amicizia, ma la prova dell'imporsi della violenza nei rapporti tra gli uomini. »


Simone: « In seguito non siete stato mai violento? »
Sartre: « Ogni tanto, alla Scuola normale, mi sono fatto spaccare la faccia. »


Nel libro, si può trovare l'uomo.


L'idea kantiana: devi, dunque puoi.


« Adesso penso che lo stile non consista nello scrivere belle frasi per se stessi, ma frasi per gli altri, e questo pone una serie di problemi quando un ragazzi di sedici anni tenta di pensare a che cos'è lo scrivere, e non ha ancora la nozione degli altri. » (Sartre)


« A questo punto è meglio non pensare, se non con la coda dell'occhio, all'immortalità, e puntare sulla vita; io, vivo, scrivo per dei vivi, pensando che, se la cosa mi riesce bene, mi si leggerà anche dopo che sarà morto. » (Sartre)


Simone: « Dunque, nella vostra opera mettete al primo posto la letteratura? Nel complesso delle vostre letture e della vostra formazione la filosofa ha avuto un'importanza enorme. »
Sartre: « Sì, perché l'ho considerata il miglior mezzo per scrivere; è stata lei a darmi le dimensioni necessarie per creare una storia. »


C'era un elemento che vi predestinava alla filosofia: avevate idee su tutto, avevate, come dicevate voi, delle teorie.


Durante la guerra, o non si scriveva affatto, o si scrivevano cose essenziali.


« Parlavo ai miei compagni come un genio parla ai suoi compagni. In tutta semplicità, ma nell'intimo era un genio a parlare. » (Sartre)


In fondo, l'intelligenza è una necessità; non si tratta tanto della rapidità di pensiero o, come dicono, di mettere in relazione moltissime cose, quanto una necessità, cioè di non fermarsi e di andare avanti, sempre più avanti.


I lettori sono sempre più intelligenti – per quanto ne so – dei critici.


I dettagli diventano simboli.