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Il giorno prima della felicità

by Erri De Luca



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Capii che la mia paura era timida, per uscire allo scoperto aveva bisogno di stare da sola.


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Si scriveva con il pennino e con l'inchiostro che stava in ogni bando dentro un buco. Scrivere era una pittura, si intingeva il pennino, si facevano cadere le gocciole finché ne restava una e con quella si riusciva a scrivere una mezza parola. Poi si intingeva di nuovo.


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Era agosto, il mese in cui i bambini crescono di più.


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Venne la paura, approfittando che non c'era nessuno.


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La città sotto ha il vuoto, quello è il suo appoggio. Alla nostra massa di sopra corrisponde altrettanta ombra. È quella a reggere il corpo della città.


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Se mettevano una taglia sui fenici da noi erano capaci di trovarli, pure di seconda mano.


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Perché non vendo carne umana. Perché in guerra la gente tira fuori il peggio e pure il meglio. Perché era venuto scalzo, chi lo sa perché. Non mi ricordo cosa gli ho risposto, può essere che non gli ho risposto. In quel punto la storia era finita e non importavano i perché.


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sapeva i fatti di tutti quanti, perchò teneva una tristezza pronta al peggio e un mezzo sorriso per buttarla via. Ai lati degli occhi si aprivano le righe e da lì scolava la malinconia.


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"Una persona ci mette una vita a riempire gli scaffali e un figlio non vede l'ora di vuotarli e buttare via tutto. Che ci mettono sugli scaffali vuoti, i caciocavallo? Basta che me li levate di torno, mi dicono. E là ci sta la vita di una persona, i suoi sfizi, le spese, le rinunce, la soddisfazione di vedere crescere la propria cultura a centimetri come una pianta."


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Quest'era la sentenza alla fine del gioco, quando ti avrò insegnato ti dovrò abbandonare. Era un fatto, doveva succedere così.


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Per farne una buona ogni momento è giusto, ma per farne una cattiva ci vogliono le occasioni, le comodità.


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"Mi piacerebbe sapere i pensieri degli altri."
"Ma se non sai neanche le tre carte coperte dell'ultima mano di scopa. Prima impara a giocare."


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Un bambino che cresce senza una carezza, indurisce la pelle, non sente niente, neanche le mazzate.


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È bella di notte la città. C'è pericolo ma pure libertà. Ci girano quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stanno aperte le osterie, le friggitorie, i caffè. Ci si saluta, ci si conosce, tra quelli che campano di notte. Le persone si perdonano i vizi. La luce del giorno accusa, lo scuro della notte dà l'assoluzione. Escono i trasformati, uomini vestiti da donna, perché così gli dice la natura e nessuno li scoccia.


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È una tasca rivoltata, la notte nella città.


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Di notte la città è un paese civile.


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Con la pietra buttata nell'acqua facciamo la mossa di liberarci dalle colpe.


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I signori tengono una vista diversa dalla nostra, che dobbiamo vedere tutto. Loro vedono solo quello che vogliono vedere.


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Più di vestiti, e scarpe, i libri portano l'impronta.


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la seconda vita di un libro è la migliore.


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Ha recuperato la libreria di un appassionato di letteratura americana. Sto leggendo belle avventure di quel posto dove sono andati a vivere tanti napoletani. Ma si vede che non scrivono libri.
I nomi degli scrittori americano sono tutti nomi loro. Hanno uno sportivo sistema di vita: uno se la deve cavare da solo. Pare che nessuno tiene famiglia, l'unica parentela è il matrimonio. Oppure i loro libri li scrivono gli orfani.


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Da noi si scorda il male appena arriva un poco di bene. È pure giusto.


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Pure le storie di don Gaetano erano assai e stavano in una persona sola.


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Don Gaetano s'intendeva di ogni specie di riparazione. Teneva mano ferma e faceva le mosse ispirate. Il guasto scompariva sotto le sue dita, bello a vedersi. Pure se mancava il materiale adatto o lo strumento, risolveva.


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Mi successe un silenzio in tutto il corpo.


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Stai accorto al fuoco, guaglio', perché chiama, fa avvicinare per la meraviglia e scimunisce.


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Viaggiavo a cavallo in compagnia delle farfalle.


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La notte legavo la bestia alla mia gamba se non trovavo un albero o un sasso. Mi svegliavo da un'altra parte, spostato dal cavallo che si muoveva in cerca di erba.


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le alici minacciate dal tonno salivano a pallone e saltavano fuori, l'acqua s'increspava del loro sciame in fuga. Ci stavamo in mezzo, il pescatore afferrò il retino e lo calà a casaccio in mezzo al mucchio. Ne tirò fuori una manciata viva che rovesciò in un secchio. Quello era rubare.


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Dacci oggi il pane azzurro attaccato all'uncino dell'amo, c'era nelle sue mosse lente la preghiera, non la pretesa. Il mare, così richiesto, si faceva raccogliere.


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I desideri dei bambini danno ordini al futuro.


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Dovevamo sposarci allora, da bambini.


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"Non sono al tuo fianco, Anna, io sono il tuo fianco."


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"Lei dice di essere pazza."
"I pazzi non lo sanno e non lo dicono."


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Mi divertiva il latino, lingua escogitata da qualche enigmista.


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L'osteria è meglio del teatro, ogni tavolo una commedia. Tragedie no, all'osteria si fanno solo recite leggere, chi tiene guai pesanti non ci va.


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La felicità: come mi permettevo di nominarla senza conoscerla? Suonava svergognata in bocca a me, come quando uno si vanta di conoscere una celebrità e la chiama col solo nome, dice Marcello, per indicare Mastroianni.


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Più che fare, dava ordini alle cose e quelle eseguivano.


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Non potevo immaginare tanta forza senza nessuno sforzo. Sono così le donne nella felicità?


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Nel golfo galleggiava grigiochiara una portaerei americana, era una strada vuota troncata a poppa e a prua.


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Correre per noi era un verbo serio.
Uno di noi si buttava a correre per scappare da un terremoto, da un bombardamento. Correre senza essere inseguiti era bollire l'acqua senza avere la pasta.


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Dovevo per forza assomigliare a loro. Non ero libero di somigliare a nessuno. Non c'era più tutto il resto del mondo a farmi da origine.


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"Nu mumèe." La signora Sanfelice ha la e di momento lunga assai.


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Adesso ho finito di essere un pezzo di questo palazzo, che a toglierlo di vede che manca. Sono come gli altri, un figlio che deve assomigliare a un paio di persone. Non voglio essere figlio, voglio essere pezzo.


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attorcigliato nei pensieri, apprendista di tutto.


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È secca come una prugna, un alito di aglio che abbatte le mosche in volo. Non sia mai trova aperto il vetro della guardiola e ci infila la testa per la domanda, lascia l'aria firmata.


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Allora sì, prometto che obeedirò ai sì, dirò più sì che no, in vita mia ci sarà una maggioranza di sì a governo delle mie mosse.


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Era storia di molti che si stringevano a fare popolo.


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La prima guerra mondiale era stata un unico scavo in trincea, che è un posto in cui gli uomini stanno già coi piedi nella fossa. Ma la seconda guerra mondiale, la ricaduta?


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Aveva una bella faccia bruna, seria, piena di volontà e la divisa azzurra gli aveva messo addosso i panni della gioventù che gli mancava. Così succede di buttarsi in guerra, e non ti permettere di credere che è poco.


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Quella sera durò più delle altre. Don Gaetano mi passava le consegne di una storia. Era un'eredità.


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A scuola ascoltai a fondo le lezioni. Mi accordi di com'erano importanti le cose che imparavo. Era bello che un uomo le metteva davanti a un'assemblea di giovani seduti, che avevano uno slancio nell'ascolto, nell'afferrare al volo. Bella un'aula in cui stare per conoscere. Bello l'ossigeno che si legava al sangue e che portava in fondo al corpo il sangue e le parole. Belli i nomi delle lune intorno a Giove, bello il grido di "Mare, mare" dei greci alla fine della ritiriata, bello il gesti di Senofonte di scriverlo per non farlo smettere. Bello pure il racconto di Plinio sul Vesuvio esploso. Le loro scritture assorbivano le tragedie, le trasformavano in materia narrativa per trasmetterle e così superarle. Entrava luce in testa come ne entrava in aula. Fuori era un giorno lucente, uno di maggio finito nel mazzo di dicembre.


Pagina 125
C'era una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva a uno come me di imparare.


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Avevo una stanchezza febbrile davanti alla bellezza esagerata.


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"Chissà dove vanno," dissi, alla direzione delle navi da guerra.
"A casa no, e nemmeno tu. Andrai da quella parte."